venerdì 29 giugno 2012

Attacco e difesa del Liceo pubblico


Questo articolo prende spunto dalla arguta invettiva contro il Liceo italiano del Bocconiano Liberale.


Ne condivido la maggior parte delle critiche. I problemi evidenziati sono seri, reali e ancorati a dei cliché difficili da rimuovere. Scagliarsi contro i cliché è anche il mio sport preferito, quindi ho apprezzato molto l’articolo. Peccato che l’interpretazione sull’origine dei problemi sia a sua volta infarcita di cliché di stampo opposto. Per esempio, perché far risalire la mancanza di meritocrazia (che poi spesso non è vero) a una matrice storica catto-comunista? Non mi pare che chi, negli ultimi 20 anni, si sia proposto come alternativa a questo schema da Prima Repubblica abbia migliorato la situazione, in ogni ambito della vita pubblica. Anzi. E inoltre, perché inquadrare i lettori de La Repubblica come pseudo-intellettuali incapaci di vedere oltre una presentazione superficialmente dotta della modernità? Sono un lettore de La Repubblica e spesso ne riscontro i limiti nell’approccio a certe tematiche. Per esempio, ho trovato mediamente stucchevole la scelta degli ospiti per La Repubblica delle Idee, il festival culturale organizzato recentemente a Bologna. Solite facce, solito armamentario. Ma bisogna essere volutamente orbi per non accorgersi che La Repubblica è molto di più. Porta alla luce dei problemi rilevanti dei quali altrimenti nessuno parlerebbe. (Tantomeno un Bocconiano Liberale con quella splendida foto in testa al blog.) Assume un atteggiamento critico e provocatorio verso certe fedi che nemmeno i disastri (economici, ambientali, climatici) del nuovo millennio riescono a scalfire (ah com’era bella la great moderation!). Insomma, può anche sbagliare ma svolge a mio parere una funzione molto più utile rispetto, per esempio, agli equilibrismi di un Corriere. Tolti questi sassolini dalle scarpe, posso ora tornare all’obiettivo più serio di questo articolo: argomentare perché il Liceo pubblico italiano sia comunque da salvare (ancorché da riformare). Conosco i miei polli: perché mai dovrebbe essere lo Stato a offrire X e Y? Non potrebbe invece limitarsi a garantire il diritto allo Studio finanziando l’accesso alle scuole private? Per il Liceo, dei validi motivi esistono. Eccoli.

1)      Al Liceo pubblico c’è mescolanza di idee, estrazioni sociali, radici culturali. Se il Liceo pubblico non fosse più un’alternativa gratuita e, per così dire, “di default” (non intendo fallimentare!), figli di genitori con preferenze simili si ritroverebbero nello stesso liceo, figli di genitori con preferenze diverse si troverebbero in licei diversi. Ricordo il Liceo come un momento bellissimo non solo (o forse addirittura non tanto) per le conoscenze acquisite dalla cattedra, ma per quelle derivanti dall’incontro coi soggetti più disparati. Immaginate invece un panorama scolastico dove i ricchi stanno coi ricchi, i musulmani coi musulmani, e via dicendo. Come interagirebbero poi tra di loro queste persone nel mondo post-liceale? Molti che subiscono già certe scelte interagiscono male, lo sappiamo. Basta accorgersene.

2)      Il Liceo pubblico riduce l’ereditarietà ideologica fra genitori e figli. I motivi sono gli stessi di cui sopra. Ma valeva la pena di sottolineare questo aspetto in un punto a parte. La vita presente e futura di un bambino è già tremendamente influenzata dai genitori che si ritrova. Ahimè, è la natura e va accettato. Mandarli al Liceo pubblico non vuol dire certo farli allevare dallo Stato o dalla Patria come in un regime nazista. E’ qualcosa di più simile mandarli invece in una scuola settaria. E in più c’è un indesiderabile correlazione fra quello che sentono a casa e quello che sentono a scuola.

3)      Il Liceo pubblico italiano offre una grande varietà di conoscenze. E’ vero, sulle singole materie la qualità rimane spesso troppo bassa, soprattutto in quelle scientifiche, come dimostrano test internazionali. Ma questo dipende da altri fattori, come quelli messi in risalto dal Bocconiano Liberale. Lo spettro ampio è solamente una ricchezza. Se ne ha l’impressione parlando con coetanei di altri Paesi europei. Se non hanno scelto percorsi specifici, spesso non sanno nulla di filosofia per esempio. È irrilevante per la competitività del Paese? Non me ne frega niente.

4)      Il Liceo scientifico riduce l’ottuso disprezzo italiota per la matematica. È un altro dei problemi messi in luce dall’articolo del Bocconiano, ma non si può certo imputare a tutto l’istituto del Liceo italiano (a meno che lui non intenda il Classico come il Liceo per eccellenza, allora è vittima degli stessi cliché che critica!). Il crescente successo dello scientifico è l’unica speranza per un’inversione di tendenza. Che poi  a tenere in vita il classico (che non disprezzo, sia chiaro, lo considero solo Paretianamente inferiore) sono proprio le cosiddette élite, anche economiche.

Sono arrivato a 4, potrei arrivare anch’io a 8 parlando delle difficoltà di implementare un efficacie sistema alternativo. Spesso in Italia si dimentica che i problemi del pubblico sono problemi dell’Italia tutta e si riflettono anche nel privato, mentre in altre nazioni funzionano meglio sia il pubblico che il privato. Per non parlare della commistione di pubblico e privato, dove si annidano i cancri più tremendi dell’Italia. Le 8 critiche del Bocconiano Liberale meritano tutte considerazione. Cerchiamo di affrontarle nel pubblico però e di non abbandonarci alla tentazione di gettare il bambino con l’acqua sporca.

domenica 24 giugno 2012

Un momento di pausa

Sculture di sabbia a Copenhagen



Troppo facile

Tutti i documentari dietrologici (9/11, signoraggio, complotti, tutto) in una comodo lista, pronti da vedere in streaming. La nostra missione e' ora troppo facile - per scrivere un articolo basta vedere uno di questi film e parlarne.

(A dire la verita', c'e' anche un sacco di roba buona nella lista - ed e' per questo che l'ho linkata)

martedì 12 giugno 2012

Da sovrano a sovrano

Due interessanti articoli del 2002 spiegano che la Regina Elisabetta non pago' le tasse sul patrimonio ereditato dalla Regina madre. I trasferimenti da sovrano a sovrano non sono considerati eredita' tassabile. (E' come, dal punto di vista del diritto, se la famiglia reale fosse un entita' sovrana e lo Stato inglese un'altra entita' sovrana, da pari a pari). Il secondo articolo va piu' a fondo e apre la porta su un universo di regole arzigogolate e ad hoc che gestiscono la finanza della Sovrana Famiglia ("le uniformi, ma non gli altri vestiti, sono deducibili dal reddito").

La motivazione addotta per questo trattamento speciale e' che "Il sovrano deve avere un appropriato grado di indipendenza dal governo corrente per poter essere costituzionalmente imparziale, e non ha l'opportunita' di guadagnarsi da vivere tramite un lavoro a tempo pieno".

Teoria dei giochi applicata

Golden Balls, un gioco in TV nel Regno Unito, ha come atto finale una versione "debole" del Dilemma del Prigioniero. Il monte premi e' dato. I due partecipanti possono giocare "Split" (dividi) o "Steal" (ruba). Se entrambi splittano, vanno a casa con 50% del monte premi a testa. Se uno splitta e l'altro ruba, chi ruba va a casa con tutto e l'altro con niente. Infine, se entrambi rubano, il monte premi e' dato in beneficenza. Il gioco e' drammatico ed emozionante: ecco un esempio.


Nel Dilemma del Prigioniero tradizionale, se uno dei due sceglie di non cooperare, la cosa migliore da fare per l'altro e' non cooperare. Se uno dei due sceglie di cooperare, la cosa migliore per l'altro e', di nuovo, di non cooperare. Percio' alla fine entrambi i giocatori non cooperano sicuramente (almeno, questo e' quello che prevede la teoria dei giochi; non funziona sempre nella realta').

Il gioco "Split or steal" e' "debole" perche'se tu scegli di non cooperare (rubi), a me non importa piu' niente (perche' qualunque cosa scelgo vado a casa a mani vuote). In apparenza, qui la teoria dei giochi non e' piu' molto utile perche' tre dei quattro possibili risultati (Steal/Steal, Split/Steal e Steal/Split) sono tutti equilibri di Nash. Quando vi e' piu' di un equilibrio di Nash, la teoria dei giochi non aiuta a stabilire quale e' piu' probabile o come far convergere il gioco verso l'equilibrio desiderato. O no?

Nel video che segue, il giocatore ha trovato un modo di sfruttare la sottile differenza tra questo gioco e il Dilemma del Prigioniero a proprio favore.


Ovviamente il paper e' gia' stato scritto, eh, aveva ragione Santana che tutto e' stato cantato.

Ezra Pound, il fascismo, e il furto culturale

Ora non so se sto a scrivere cose che tutti gia' sapevamo (mi pare di no) ma per quel poco che so di storia dell'estrema destra italiana, ho notato il ripetersi di uno schema inquietante.

La cosa e' cominciata meno di quattro anni fa (29/10/2008) con dei "giovani di estrema destra", per usare le parole di Repubblica, che si sono messi a prendere a bastonate dei pacifici manifestanti che protestavano contro la riforma Gelmini. Repubblica ha ancora il video sul suo sito, ma per i posteri (non si sa mai) ho salvato una foto che dice tutto.


La violenza squadrista si ripete, ma non e' che ve lo devo dire io. La cosa meno ovvia, ma forse piu' importante alla lunga, e' un'altra: l'appropriazione dei simboli e della cultura a scopo politico. Per una foto presa da un passante durante un evento violento in una piazza, e' una coreografia eccezionale. Le mazze tricolore, in particolare, mi avevano fatto incazzare tantissimo, perche' rappresentano l'ennesimo atto di appropriazione fascista del tricolore. ("Siamo violenti, ma per la patria"). Purtroppo, da che mi ricordo, sventolare il tricolore (e il patriottismo in generale) al di fuori di occasioni calcistiche e' sempre stato sentito come una cosa di destra. Questo non ha da essere. La colpa di questo e' tanto di chi compie l'appropriazione quanto di chi la lascia compiere, non riprendendosi quello che e' di tutti. Negli Stati Uniti, Democratici e Repubblicani fanno a gara a chi sventola la bandiera piu' visibilmente. E' una cosa buona! Facciamola anche noi.

E non ci si limita al tricolore: il fascismo si appropria di tutto: l'ideologia anticapitalista; i valori insostituibili del capitalismo; l'ordine e la passione; qualunque cosa suona figo, la prendono e la ri-gridano piu' forte.

Ma quello di cui volevo parlare oggi e' un'altro soggetto: Ezra Pound. Grandissimo poeta - padrino di gente come Hemingway, Joyce, Frost, ed Eliot. Folle, antisemita e fascista, passo' meta' della sua vita in Italia e si mise al servizio di Mussolini. Economista velleitario. Ce n'e' da raccontare per ore, ma non ho tempo (ne parlero' in un altro post). La sua popolarita' come poeta era tale che trascendeva l'impopolarita' delle sue scelte politiche. Persino Allen Ginsberg lo venne a trovare a Rapallo nel 1967 e gli fece fumar canne.

Balzo in avanti, secolo ventunesimo. Pound e' uno sconosciuto in Italia. Purgato dal curriculum letterario della scuola dello Stato antifascista. A Roma c'e' un centro sociale fascista chiamato Casapound. Ci stanno rubando anche la poesia. Anche qui, non deve essere cosi'. Verso la fine della sua vita, Pound si e' pentito di molte delle proprie vedute politiche (tant'e' che gli eredi non vogliono avere a che fare con Casapound). In ogni caso, anche D'Annunzio era fascista (a modo suo) e la sua poesia non e' vietata. Sara' che e' morto appena in tempo, non so. Il punto e' che la poesia di Pound, come quella di D'Annunzio, non parla di fasci, o di tricolori, o di ebrei. Riprendiamocela, o ci ritroveremo a doverla combattere (e non si vince combattendo la poesia e la bandiera). Cominciamo da qui:
Sing we for love and idleness,
Naught else is worth the having.

Though I have been in many a land,
There is naught else in living.

And I would rather have my sweet,
Though rose-leaves die of grieving,

Than do high deeds in Hungary
To pass all men's believing.
[An Immorality, by Ezra Pound]
Piu' Ezra Pound, meno estrema destra.